È stata una vera e propria onda. Ieri, 8 marzo 2017, è stata la Giornata Internazionale della Donna e Non una di meno ha indetto uno “sciopero generale di 24 ore sia nel settore pubblico che in quello privato”, proclamato da “diverse organizzazioni del sindacalismo di base”. Al grido di Nessuna da sola, in varie città d’Italia le donne si sono riversate nelle piazze per protestare contro la discriminazione di genere nei diversi ambiti della società: lavoro, scuola, welfare e via discorrendo.
FinestrAperta è andata a conoscere uno dei vari sit-in organizzati a Roma, quello previsto in mattinata di fronte la sede della Regione Lazio, dove diverse rappresentanze hanno chiesto un incontro con il Presidente Nicola Zingaretti. Durante il corteo, è stato possibile ammirare non solo l’energia delle partecipanti nel voler difendere e conquistare i propri diritti, ma di estendere le tematiche al mondo del lavoro e della sanità a livello generale. Attraverso le diverse testimonianze raccolte, è stata posta molta attenzione su come gli argomenti centrali della manifestazione riguardassero aree tematiche deputate non solo alle lavoratrici, ma anche ai lavoratori.
«Siamo qui per appoggiare la rete Non una di meno, in quanto c’è questa violenza sulle donne inquietante – ammettono alcune dipendenti della clinica privata riabilitativa Villa delle Querce (Castelli Romani) -. Lo vediamo tutti i giorni. Ma siamo qui anche per rivendicare quelli che sono i diritti dei dipendenti della sanità privata, in particolar modo in queste grandi strutture dove c’è oggi un introito di denaro non indifferente, e dove tutti i pazienti e i dipendenti vengono considerati dei numeri. Non si fa più riferimento al dato uomo, all’essere umano. Noi siamo tutti numeri, dobbiamo lavorare come una catena di montaggio, non ci si rende conto delle esigenze del paziente. Inoltre, siamo qui perché ci sono delle colleghe che sono 15/18 anni che lavorano con noi in regime di partita IVA, ma come lavoro di subordinazione. A questi, nel corso degli anni, si è sempre chiesto un incontro con l’azienda per richiedere un loro inserimento, ma le nostre colleghe non sono mai state ricevute. Ultimamente hanno anche fatto una lettera, in base al decreto regionale che ha fatto Zingaretti, per cercare di sistemare questi rapporti. Risultato? Sono state licenziate in tronco, senza neanche la lettera di licenziamento. Sono state buttate fuori, di fronte anche ai pazienti. Capisci in che gravità di situazione noi lavoriamo?».
Non sono le uniche persone a vivere in un contesto complesso. «Una buona quota di lavoratori esercitano in una situazione di intermediazioni di manodopera fittizia – spiega Carla Santamaria, psicologa della Cooperativa Seriana 2000 -. Mi spiego: vengono appaltati dei servizi che sono i Lea (stiamo parlando di ambulatori, di centri diurni, di residenze, che vengono appaltati alle cooperative). Succede che ci sono dei lavoratori, quelli ancora con la mail di Asl Roma 1, che fanno tutti i certificati e tutto il lavoro che avrebbe dovuto fare un dipendente Asl, mentre in realtà sono pagati dalla cooperativa. Significa che noi, i lavoratori, siamo pagati un terzo, anche un quarto di quello che ci spetta. Per altro, con una possibilità di grosso precariato di persone a partita IVA, e la cooperativa non assume. Si trattano di terapisti, assistenti sociali, psicologi (nell’area della Asl Roma 1 siamo questi, come lavoratori che sono stati dati in appalto). Questa situazione dura da tanti anni, non si riesce a risolverla. E questo può creare dei disagi e dei disservizi in quanto non siamo realmente Asl a tutti gli effetti. Inoltre, il fatto di essere sempre in una situazione di partita IVA ci rende molto più difficile dare una continuità in assoluto. Se uno è a partita IVA, è chiaro che dall’oggi al domani può essere mandato via. Può succedere di tutto. La nostra lotta è per l’internalizzazione. L’altra cosa che stiamo cercando di fare, per poter accedere in modo legale alla sanità pubblica, è quella di aver riconosciuti gli anni di anzianità. Cosa che è stata già fatta in passato: è stata fatta la ricognizione da altre giunte regionali. Però poi si arriva al punto che la giunta cade e non ci stanno più le condizioni. Adesso stanno ricominciando i concorsi, finalmente si è chiuso il piano di rientro, si è riaperta la possibilità di dare un po’ di risorse al servizio pubblico. Noi chiediamo che ci vengano riconosciuti questi anni di anzianità per poter partecipare a questi concorsi, con la nostra realtà di precari, in quanto lo siamo».
Spazio anche a considerazioni da parte di alcuni esponenti del mondo LGBT. «Oggi la sanità non contempla la prevenzione o l’informazione o l’educazione sessuale per soggetti che non sono eterosessuali – dichiara Giulia della rete Io Decido -, per chi sceglie di avere relazioni con persone dello stesso sesso, chi sceglie di non definirsi né uomo né donna, chi sceglie di percorrere un percorso di transizione per modificare il proprio corpo, il proprio aspetto esteriore in funzione di quello che sente di essere. Siamo qui anche per questo, perché quei pochi spazi che sono rimasti a disposizione delle donne, come i consultori, purtroppo sono ancora insufficienti. Nonostante vengano dalla lotta delle donne, oggi sono stati ridotti ad un mero servizio. Quindi non riescono a parlare per tutti, tutte e tutto (come diciamo noi). E siamo qui per provare a cambiarli e renderli uno strumento che risponda ai bisogni di tutti. Forte discriminazione? C’è, ma è un termine un po’ generico. C’è un’oppressione quotidiana nelle soggette LGBT che vanno dal lavoro, alla famiglia, alle relazioni, all’occupazione dello spazio pubblico, quando vai in giro, quando ti rivolgi ad un servizio, quando cerchi lavoro e ti assumono solo perché sei fr***o e solo in determinate categorie oppure solo perché sei lesbica e solo in certi luoghi. Ostracismo? Si, noi parliamo anche di strumentalizzazione. Perché le recenti conquiste del mondo LGBT, seppure in parte cambiano le nostre vite, non rispondo appunto ai bisogni di tutti e tutte. Rischiano di diventare una bandierina dove ci si nasconde dietro per dire “Anche in Italia riconosciamo i soggetti LGBT perché gli permettiamo di sposarsi”. Ma tutti i soggetti LGBT, che non hanno come priorità nella loro vita l’unione civile o la vita di coppia, in questo paese non esistono».
Infine Serena, dei Blocchi precari metropolitani, ci parla della complessa situazione abitativa per alcune famiglie: «Oggi siamo qui per la repressione delle politiche che ci riguardano, noi viviamo in delle occupazioni e non abbiamo una residenza. C’è questo articolo 5 che ci danneggia molto in questo caso, perché ci nega i diritti principali, come la sanità e il diritto all’istruzione per i bambini. Abbiamo anche i problemi con le politiche sociali che non ci aiutano per niente, anzi ci danneggiano ancora di più. Quando c’è uno sgombero o quando c’è uno sfratto, le politiche non intervengono per niente. Al contrario, ci dividono le famiglie e questo ci danneggia. Soluzioni? Oggi esiste una specie di ricatto, perché ci viene detto “O venite con noi e vi diamo l’alloggio per la mamma e per la bambina, e il padre e se ne va in strada, oppure nulla”. Le donne rifiutano, perché non puoi dividere una famiglia. Le donne non lo accettano mai. E quindi non c’è nient’altro da fare, nessun’altra soluzione». Solo quella di combattere e ricordare a questo paese che le donne ci sono, e sono più agguerrite che mai.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante