“Voglio dormire fino all’arrivo della morte, senza più soffrire”. Questa l’ultima decisione di Dino Bettamin, macellaio di 70 anni di Montebelluna (Treviso), da cinque anni malato di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), deceduto il 13 febbraio 2017. Dopo l’ultima crisi respiratoria, Bettamin ha chiesto la sedazione palliativa – come riportato da sua moglie -, rifiutando così qualsiasi trattamento possibile, anche quello della nutrizione artificiale. In poco tempo, il suo caso ha fatto il giro dell’Italia, sui social network non si è parlato d’altro per un paio di giorni.
Il dibattito, però, si è talmente infuocato da rendere discutibili diversi commenti in merito al fatto. In questo caso, l’errore principale è stato eguagliare la sedazione palliativa e l’eutanasia, in quanto, sia a livello medico sia a livello legislativo, sono concetti distinti. «L’eutanasia è la somministrazione di medicinali che facciano morire, è l’induzione a morire utilizzando proprio un medicinale – chiarisce Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby, a FinestrAperta.it -. Invece, quando una persona chiede di essere addormentata, come ha fatto Dino, non sarà mai e poi mai considerata eutanasia, ma si agisce con le cure palliative, anche per persone malate di cancro e nelle manifestazioni refrattarie a qualsiasi medicinale. Qui, il malato viene addormentato ed aiutato a non soffrire, sempre mentre sta dormendo. Questa la chiamiamo sedazioni terminale o profonda».
I media locali hanno parlato del caso Bettamin come del primo di sedazione profonda su un paziente affetto da Sla, ma in passato sono avvenuti episodi analoghi: «Una cosa simile l’ha fatta qualche mese fa Walter Piludu – racconta Welby -. Lui però ha chiesto di essere esonerato dal suo ventilatore che gli procurava soltanto sofferenza. A quel punto, il medico lo ha sedato, ma hanno avuto bisogno di sei mesi perché l’Asl gli procurasse un medico che lo facesse. È stato il tribunale a chiedere all’Asl di procedere in questa maniera, cioè di addormentarlo e di staccare il respiratore automatico. Piludu è morto, ma probabilmente non aveva tante possibilità fisiche di poter respirare: quindi, è morto per la sua Sla, come Dino. Ha chiesto la limitazione della respirazione, come d’altra parte è stato per Piergiorgio Welby: anche a lui, il medico l’ha addormentato e gli ha staccato il respiratore mentre era addormentato. Non sentiva il dolore del soffocamento, dopo quaranta minuti il cuore ha cessato di battere».
Questo argomento, però, non include esclusivamente le persone con disabilità: «Le sedazioni possono riguardare anche le persone anziane che soffrono tantissimo – conferma Welby -. Credo che non sia giusto costringere una persona anziana a mettere un sondino perché non riesce a nutrirsi. Ad un certo punto, la persona non ha solo la sofferenza fisica, ma anche la paura di quell’evento che si sta avvicinando, sanno che stanno per morire. Lì il medico deve essere bravo ed aiutare la persona a non soffrire. Questo credo sia il giusto morire umano, visto che oggi le medicine sono diventate veramente invasive. Certo, ci fanno vivere a lungo, però tante volte la vita lunga non è sempre quella che queste persone hanno desiderato, e quindi chiedono di non soffrire più».
A livello legislativo, com’è strutturata l’Italia per le cure palliative e per l’eutanasia? «Per quest’ultima, non c’è legge – evidenzia Mina -, non c’è nemmeno il codice penale che la nomini. C’è però l’articolo 575, l’omicidio volontario, che è stato per esempio imputato a Beppino Englaro, che poi non era colpevole, ed è stato accertato, perché Eluana Englaro aveva voluto non essere in stato vegetativo. Togliere il sondino nasogastrico, a quel punto, era l’unica cosa che avrebbe dato esecuzione al suo percorso di morte cominciato nel gennaio del 1992. A quei tempi, se non ci fossero state le nutrizioni artificiali, Eluana sarebbe comunque morta, la vita fisica non si sarebbe potuta mantenere. Anche lei ha avuto cure palliative perché il corpo non soffrisse. È stata addormentata, le è stato tolto il suo sondino e dopo tre giorni è morta. Ancora oggi ci sono delle persone cattive che dicono che il padre abbia ucciso la figlia: no, non è così, c’è scritto nel testamento biologico lasciato da Eluana e nell’accertamento del tribunale di Milano. Un padre ama una figlia, e un padre amorevole che lotta per diciassette anni è solo da rispettare. Oggi, per le cure palliative, esiste la legge 38 del 2010, ideata e scritta da Ignazio Marino. Era un ddl del Senato, ed è stata votata unanimemente. Si parla di cure palliative con sedazione, non di eutanasia. Addirittura, c’è un articolo 2278 del catechismo che sottolinea la possibilità di interrompere le terapie quando sono troppo onerose ed inutili per la salute. Non si vuole provocare la morte, ma impedire la terapia. Inoltre, se diamo ancora uno sguardo al codice penale, al codice Rocco, c’è anche l’articolo 579, che afferma che un intervento che possa causare la morte di una persona quando questa l’ha chiesto, è omicidio del consenziente. Infatti, il dott. Riccio, il medico di Piergiorgio, è stato incolpato e denunciato per questo. Piergiorgio aveva detto: “Per favore, sedatemi e staccate il respiratore, perché non ce la faccio più”. Si dice che volesse l’eutanasia: si, voleva una legge per l’eutanasia. E lo intendeva nel senso greco, come buona morte. E per lui era sospendere la sua ventilazione artificiale. Poi il medico è stato prosciolto dal GUP, che affermava che il medico aveva fatto il suo dovere, perché il paziente aveva il diritto di sospendere le sue terapie secondo l’articolo 32 della Costituzione Italiana. Il medico è stato incolpato per il distacco, ma Piergiorgio è morto a causa della distrofia muscolare».
Qualche mese fa, in Belgio, c’è stato il primo caso di eutanasia su minore, mentre in questi giorni si è parlato della vicenda Bettamin. Prima o poi, a livello legislativo, si arriverà ad un approfondimento maggiore riguardo le cure palliative e l’eutanasia? «C’è una buona proposta di legge in Commissione, stanno ancora discutendo gli ultimi emendamenti – ricorda Mina -. È un testo unico su ben 16 proposte di legge riguardo le Disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari, dove le persone ‘da sveglie’, cioè da vive, possono ancora scegliere se fare o meno determinati trattamenti sanitari, oppure lasciare iscritto, nel momento in cui non lo potranno più fare, come voler essere curate dal medico alla fine della propria vita. Qui si parla anche di cure palliative. Su queste però non servono altre leggi, già c’è, ma bisogna applicarla. Purtroppo, in Italia viene applicata a macchia di leopardo. Credo che solo uno su quattro dei malati alla fine della vita abbia cure palliative, ed è una cosa grave per il nostro paese. Molti medici dovrebbero aggiornarsi ed aiutare: specialmente il medico di famiglia dovrebbe essere vicino al proprio malato e cercare di trovare palliativisti che ci siano pronti per visite a casa del paziente. Anzi, ci dovrebbe essere un equipe che cura questa azione».
A che punto è questa proposta di legge? «Io spero che i sei articoli passino. Sono coincisi, brevi e facilissimi da capire ed interpretare, è una meraviglia di testo. Adesso, però, c’è il pericolo che venga incrementata con degli emendamenti che lo snaturino, aggiungendo cose che non sono necessarie e che vengano interpretate in modo diverso da chi deve usarla. Spero che questo non accada. Doveva entrare in aula per la discussione ed il voto nella Camera dei Deputati il 30 e 31 gennaio, ma è ancora in Commissione perché erano stati proposti 3500 emendamenti, di cui 3200 sono stati scartati subito, erano lì soltanto per allungare il processo di discussione. Ne sono rimasti 288, ma ieri (16 febbraio, nda) eravamo a 144. La Onorevole Lenzi, poi, ha accettato che il testo vada candelarizzata in aula il 20 febbraio, ma questi 144 emendamenti che vengono discussi da 43 [persone] in Commissione che non sono tutti d’accordo cercano di ritardare l’arrivo al 20. Non so ora a che punto sia arrivata questa proposta di legge, ma spero che vada in aula. Anche perché ci sono sempre i pericoli: se cade il governo, non c’è tempo per portarla in Senato; se lì viene cambiato qualcosa, deve essere riportata alla Camera dei Deputati. Io spero solo che vada in porto. Infine, ora sto sensibilizzando i medici perché firmino la Carta dei Medici, che è stata proposta il 15 febbraio, e spero che la firmino in molti perché è veramente necessaria».
Articolo di Angelo Andrea Vegliante