Squadra Antimafia, nota serie televisiva della Taodue, è arrivata all’ottava e ultima stagione. Chi la segue non ha potuto far a meno di notare come, quest’anno, il personaggio di Dino Abbrescia – l’ispettore Vito Sciuto – abbia dovuto convivere (nella prima parte di stagione) con una disabilità. In seguito ad un’esplosione, Vito ha riportato un trauma piuttosto grave che gli impediva la deambulazione: una situazione che, almeno inizialmente, sembrava definitiva e senza possibilità di miglioramento. Ovviamente, come in ogni fiction che si rispetti, subito dopo l’incidente è seguita la riabilitazione con una terapista fenomenale che incitava l’impossibilitato Sciuto ad accettare la condizione che il destino beffardo gli aveva riservato. Sempre all’interno della serie, il Commissario della squadra ha convocato l’ispettore dicendogli quanto fosse indispensabile all’interno del collettivo, quanto potesse ugualmente servire l’Arma, pur avendo una disabilità: “A me non serve la tua capacità fisica, ho bisogno della tua testa ed esperienza”. Parole che farebbero dubitare chiunque, però aiutano lo share e quindi ben venga la lacrimuccia di commozione. Ma la domanda resta: una persona con disabilità può indossare la divisa?
No, perché la disabilità è incompatibile con l’arruolamento nell’Arma: “L’Arma, per la peculiarità delle sue attività e le sue prerogative, arruola solo persone con una precisa idoneità, a cui la persona disabile non può corrispondere”. A dirlo è il maggiore Ugo Blasi dell’Ufficio Stampa del Comando Generale dei Carabinieri. In un certo senso, la legge 68/99 non può valere. E’ proprio, però, in merito a tale atto legislativo che nascono intricate polemiche. Infatti, il testo recita: “Per i servizi di polizia, della protezione civile e della difesa nazionale, il collocamento dei disabili è previsto nei soli servizi amministrativi”, per questo Antonio Genovese – paraplegico – ha scritto una lettera alle Forze Armate: “Sono in carrozzina ma, da sempre, sin da piccolo coltivo un sogno, una passione e cioè indossare la divisa dell’Arma: non tanto per indossarla, ma per essere, per fare il Carabiniere. Conscio che non potrei andare di pattuglia, vorrei tanto poterlo essere ugualmente in ambito amministrativo come la legge peraltro prevede. Legge che però inspiegabilmente non viene inserita nei Bandi concorsuali, precludendo a me e tanti come me che hanno questo Sogno di essere Carabiniere o comunque servire lo Stato, onorare la Bandiera anche solo da dietro una scrivania per altri Corpi delle Forze Armate e delle Forze dell’Ordine”.
Sogno, nella lettera, è scritto con la maiuscola: non è un caso, bensì lo stesso desiderio di molti ragazzi con disabilità. Non si tratta di chi era arruolato e, in seguito ad incidenti, non può più esercitare la professione, ma di coloro che hanno una patologia sin dalla nascita e non possono – per motivi indefiniti – coltivare una passione. Servire lo Stato malgrado le avversità, questo si legge su Google quando si digita “persone con disabilità nelle Forze dell’Ordine”. Un’ambizione, un’esigenza che andrebbe assecondata. Allora, dato che la richiesta aumenta, sono stati creati numerosi forum di discussione dove ci si interroga su come mai non vengono assunte persone con disabilità in determinati ambiti. La risposta ha provato a fornirla ancora una volta il Comando Generale dei Carabinieri: “Ha ragione, però, il signor Antonio, quando denuncia, in generale, l’inosservanza della legge 68/99. Anche se, in verità, il ministero della Difesa è inadempiente suo malgrado. “Da luglio le assunzioni sono bloccate, comprese quelle relative a categorie speciali. Nonostante, dunque, l’esistenza, a livello nazionale, di importanti carenze di personale e nonostante i contatti già avuti con alcuni uffici provinciali e convenzioni avviate con altri, le ultime disposizioni normative non ci consentono di procedere ad assunzioni di nessun genere. Siamo quindi in attesa dei chiarimenti necessari”. Insomma siamo tutti in attesa di capire, di ricevere risposte, coinvolti in un sempiterno “le faremo sapere” ma stavolta è diverso. Siamo al cospetto di chi difende i diritti di una cittadinanza. Il lavoro è un diritto, per questo, come in ogni ambito, non bisogna chiudere le porte all’inclusione sociale. Soprattutto se, alla base, c’è un forte senso d’appartenenza e rispetto: nei secoli fedele, nonostante tutto.
Articolo di Andrea Desideri