Stiamo attraversando un periodo complicato. Nel giro di poche settimane, la terra del nostro Paese ha tremato più di una volta: il centro Italia preso di mira dalla natura che può essere tanto bella quanto spietata. Disumane sono state le conseguenze dei terremoti in alcune parti d’Italia. Amatrice, per esempio, ha accusato nuovamente il colpo che già le era stato inferto qualche mese fa. Una cittadina in fase di ricostruzione, che è ripiombata nel baratro e deve ripartire nuovamente, raccogliere i cocci per ritrovare una dimensione. Lo stesso dicasi per Castelluccio di Norcia o Castelsantangelo sul Nera, le zone maggiormente colpite dalla furia sismica. Questa reiterazione di catastrofi naturali ha dato vita al susseguirsi di gesti solidali verso le popolazioni colpite, ma anche ad una serie di stereotipi sociali che vengono cavalcati ogniqualvolta c’è un evento straordinario – vale a dire che non rientra nella consuetudine quotidiana – per dare adito a una sequela di luoghi comuni necessari a distogliere l’attenzione e covare odio. Tutto questo serve (ad alcuni) per creare malcontento in modo da poter indirizzare le masse. E’ stato fatto parlando del Referendum Costituzionale, paventando un rinvio, giocandosi la carta della vicinanza alle vittime. Gesto non pienamente condiviso, infatti, c’è persino chi ammonisce la classe politica: “Capisco lo scrupolo, la sensibilità, il rispetto per le popolazioni di Umbria e Marche. Ma che senso avrebbe rinviare il referendum? Abbiamo promesso che daremo subito un tetto a queste decine di migliaia di connazionali, e saremo pure in grado di dar loro un seggio per votare. E’ anche così che li si aiuta a rivedere la vita di tutti i giorni. E si toglie a tutti gli altri l’osso di una polemica che sarebbe infinita, come infinita diventerebbe la campagna referendaria. Per carità, chiudiamola il 4 dicembre, grazie”. Enrico Mentana – direttore del TgLa7 – riassume il pensiero di molti attraverso la sua pagina Facebook, fornendo un chiaro esempio di come si cavalchino certe situazioni per favorirne in qualche modo altre.
Non solo politica, ma anche sociale, che in alcuni casi sono due facce della stessa medaglia. Infatti, il sisma ha rilanciato il tema dell’immigrazione: in molti talk show televisivi non è mancata occasione per riproporre la solita litania secondo cui “i terremotati non hanno un alloggio, ma gli immigrati stanno in hotel” che equivale a mettere una pallina su un piano inclinato: più questa frase viene ripetuta e più si scende verso il baratro dell’indecenza, senza soluzione di continuità. Contrapporre gli sfollati ai migranti è un equivoco facile e insidioso che ha riportato in auge i fatti di Gorino e la polemica sulla gestione degli extracomunitari nel nostro territorio. Oltre ad una sequenza indefinita di ostracismi pregiudiziali e falsità: “Li trattiamo meglio degli italiani”, “Aiutiamoli a casa loro così non vengono qui”, “Noi avevamo la valigia di cartone questi hanno lo smartphone”, “Ci rubano il lavoro”, “Tra loro ci sono i terroristi”. Un tema complesso come l’accoglienza dei migranti, spesso, è baluardo per quella collettività che ragiona attraverso luoghi comuni. Siccome, però, è ancora oggetto di discussione, c’è chi prova a smontare (con cognizione e ragionamento) questi clichè: Medici Senza Frontiere – l’organizzazione internazionale che si prefigge lo scopo di portare soccorso sanitario e assistenza medica laddove il diritto alla cura non sia garantito – sul suo sito spiega (e dipana) le dieci leggende più diffuse sulla migrazione.
- Ci portano le malattie. I migranti non rappresentano un rischio per la salute pubblica. È allarmante che continuino a circolare notizie false a questo proposito. Nel corso di oltre dieci anni di attività mediche in Italia, MSF non ha memoria di un solo caso in cui la presenza di immigrati sul territorio sia stata causa di un’emergenza di salute pubblica. Spesso, associate all’arrivo dei migranti, vengono citate malattie come Tubercolosi, Ebola e Scabbia. Siamo sicuri di conoscerle?
- Li trattiamo meglio degli italiani. In Italia, il sistema di accoglienza è gestito dal Ministero dell’Interno e comprende centri di prima e seconda accoglienza. L’insieme delle strutture ordinarie e dei servizi predisposti dalle autorità centrali e dagli enti locali è largamente insufficiente, tanto che più del 70% dei richiedenti asilo è attualmente ospitato in strutture temporanee e straordinarie.
- Aiutiamoli a casa loro. La comunità internazionale da decenni si pone come obiettivo di eliminare la fame e la povertà estrema ma, nonostante gli sforzi e gli investimenti, i risultati sono ancora insufficienti. E in ogni caso, gli aiuti internazionali da soli non bastano a consentire il rientro a casa in sicurezza di chi fugge da conflitti, persecuzioni e violenza. In alcuni contesti, poi, l’instabilità è tale che non esistono le garanzie minime di sicurezza necessarie per mantenere programmi di assistenza. Riguardo all’impegno di MSF, più del 68% dei fondi raccolti in Italia è destinato ai progetti in Africa, circa il 30% in Asia e America e solo il 2,5% in Europa. Di fatto, oggi la gran parte delle nostre risorse è già utilizzata nei paesi di provenienza di migranti e rifugiati, anche se nel 2015 la dimensione degli interventi di MSF a loro favore in Europa e nel Mediterraneo è aumentata molto.
- Hanno pure lo smartphone. Per chi fugge da guerra, violenze o povertà ed è costretto a intraprendere un lungo e pericoloso viaggio, i cellulari, in particolare gli smartphone, sono beni di prima necessità: sono il mezzo più economico per restare in contatto con i propri familiari; permettono di capire dove ci si trova attraverso la geolocalizzazione; servono a condividere indicazioni fondamentali su rotte, mappe, pericoli alle frontiere, blocchi. Nei progetti di MSF in Grecia e sulla rotta dei Balcani forniamo alle persone in fuga postazioni per ricaricare il proprio cellulare e connessione wi-fi, e diverse organizzazioni umanitarie forniscono app per facilitare la richiesta di aiuto per le persone in fuga. In Sicilia e sud Italia, nelle nostre attività di primissima assistenza ai porti di arrivo in caso di sbarchi traumatici, tra i servizi di base offerti ai sopravvissuti – oltre al supporto psicologico – c’è l’accesso all’informazione e all’orientamento. Quando è necessario, mettiamo a disposizione un telefono per chiamare le famiglie.
- Vengono tutti in Italia, sono in troppi. Le statistiche ufficiali dicono che la maggior parte delle persone in fuga si sposta verso i paesi limitrofi al proprio, non si “imbarca” per l’Europa. Degli oltre 65 milioni di persone nel mondo costrette alla fuga nel 2015, ben l’86% resta nelle regioni più povere del pianeta. Il 39% si trova in Medio Oriente e Nord Africa, il 29% in Africa, il 14% in Asia e Pacifico, il 12% nelle Americhe, solo il 6% in Europa.
- Sono tutti uomini giovani e forti. La maggioranza delle persone che arrivano in Europa è rappresentata da giovani uomini perché hanno una condizione fisica migliore per poter affrontare un viaggio così duro. Spesso sono le stesse famiglie a mandarli per primi, sperando un giorno di potersi ricongiungere. Tuttavia, il numero di famiglie, donne e minori non accompagnati è in aumento. Nel 2015, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, di circa un milione di persone arrivate in Grecia, in Italia o Spagna via mare, il 17% è costituito da donne e il 25% da bambini. Chi ce la fa ad arrivare è estremamente vulnerabile: le équipe di MSF assistono vittime di violenza e torture, persone disabili, donne incinte, bambini e perfino neonati in fuga per salvare le loro vite, lasciando dietro di sé conflitti, persecuzioni e povertà.
- Ci rubano il lavoro. Il tema della “concorrenza sleale” praticata dai lavoratori stranieri in Italia è spesso utilizzato nel dibattito pubblico per dimostrare l’equazione secondo cui l’arrivo degli immigrati toglie posti di lavoro agli italiani. In realtà, a fronte di un’ampia letteratura economica internazionale sul rapporto tra immigrazione e mercato del lavoro, non esistono studi empirici in Italia che portino dimostrazioni robuste e inconfutabili al proposito. Al contrario, le analisi esistenti mettono piuttosto in evidenza la scarsa “concorrenzialità” tra lavoro straniero e lavoro autoctono a parità di competenze.
- Non scappano dalla guerra. La distinzione tra rifugiati e migranti economici è una semplificazione. I motivi che spingono le persone a fuggire dai propri Paesi sono diversi e spesso correlati tra loro: guerre (Siria, Iraq, Nigeria, Afghanistan, Sud Sudan, Yemen, Somalia), instabilità politica e militare (Mali), regimi oppressivi (Eritrea, Gambia), violenze (lago Chad), povertà estrema (Senegal, Costa d’Avorio, Tunisia). Il diritto di ogni persona a chiedere protezione internazionale prescinde dalla nazionalità e dal paese di origine. A contare sono le cause della fuga, le persecuzioni subite o le minacce, la vulnerabilità e i bisogni di assistenza e cure mediche. A volte le necessità di protezione internazionale si sommano ai bisogni di assistenza umanitaria. Per esempio, nell’area del Lago Ciad – che comprende Nigeria, Camerun, Niger e Ciad – si sta consumando una delle più gravi crisi umanitarie del continente africano, con milioni di persone in fuga dalle violenze di Boko Haram e delle truppe governative che lo combattono. Le violenze indiscriminate si aggiungono alla mancanza di cibo adeguato, acqua potabile, strutture sanitarie e servizi di prima necessità. La situazione non è tanto diversa in Sud Sudan con oltre un milione di persone sfollate e centinaia di migliaia scappate oltre confine, per fuggire a scontri a fuoco, saccheggi, devastazioni, violenze e soprusi di ogni tipo. In entrambi i contesti sono presenti progetti di MSF con interventi di assistenza sanitaria e logistica (ripari, approvvigionamento idrico, costruzione di latrine).
- Sbarcano i terroristi. La maggior parte degli affiliati ai gruppi terroristici coinvolti negli attentati in Europa era già presente sul territorio, in quanto si trattava di cittadini europei. È pur vero che le cronache hanno anche riportato pochi e isolati episodi di richiedenti asilo coinvolti in attentati, ma nella stragrande maggioranza dei casi a bussare alle nostre porte sono persone vulnerabili che fuggono da guerre e violenza.
- Sono pericolosi. Sono più vulnerabili che pericolosi. Numerosi studi internazionali hanno evidenziato l’inesistenza di una corrispondenza diretta tra l’aumento della popolazione immigrata e l’incremento del numero di denunce per reati penali. E’ pur vero che sono molti i detenuti stranieri nelle carceri italiane (il 34% dei reclusi, al 30 settembre 2016), ma ciò è dovuto a una serie di fattori precisi. In particolare, a parità di reato gli stranieri vengono sottoposti a misure di carcerazione preventiva molto più spesso degli italiani, che ottengono invece con maggiore facilità gli arresti domiciliari (o misure cautelari alternative alla detenzione, una volta emessa la condanna). La stessa azione di repressione opera con più frequenza nei confronti degli stranieri, che con maggiore facilità sono sottoposti a fermi e controlli di routine da parte dalle forze di polizia.
Le convinzioni, a volte, sono più radicate della verità. A farlo presente è chi si batte ogni giorno per sradicare le diseguaglianze ed arginare le ingiustizie, non a parole, ma con i fatti, portando il proprio esempio e contributo senza chiedere nulla in cambio. Indipendenti, neutrali, imparziali.
Articolo di Andrea Desideri