Gli Stolen Apple nascono a Firenze nel 2008 dalle ceneri dei Nest, suonano da moltissimo tempo ma soltanto otto anni fa decidono di rimettersi in gioco e dar vita a questo gruppo. Una band che cresce nel territorio toscano, esibendosi nelle varie piazze e case del popolo. Si definiscono un complesso alternatindie che però riesce ad elaborare una commistione e fusione di generi musicali derivanti da varie emozioni e passioni. Sono impossibili da classificare ed etichettare, ma altrettanto gradevoli e sferzanti all’ascolto. Questa ispirazione perenne li porta a far uscire il loro primo disco: un debutto musicale, che non può considerarsi un vero e proprio esordio sulle scene, poiché la musica conferma quanto lavoro, passione ed esperienza si celi dietro la realizzazione di ogni brano. “Trenches” è uscito il 23 settembre di quest’anno ed il batterista degli Stolen (qualifica riduttiva nel contesto artistico di una band dove tutti i componenti hanno, almeno, un doppio ruolo), Alessandro Pagani, in loro rappresentanza, ci ha voluto raccontare qualcosa in più sul progetto musicale targato “Rock Bottom Records” e distribuito da “Audioglobe”.
Subito una curiosità: ci raccontate dell’esperienza con Battiato? Dal vostro sito: “Nel 1978 suonano di spalle a Battiato, che s’incazza”.
Quell’intera parte della nostra scheda bio è scherzosa e non si sa più nemmeno chi l’ha ideata. In ogni caso, se uno rigoroso come Battiato ci ascolta, s’incazza di sicuro. Per fortuna era di spalle…
Vi definite una band “alternatindie”, perché?
La definizione esatta è “alterna-Tendi” in omaggio al grandissimo Alessio, terzino della Fiorentina negli anni ‘70. La verità sta tra le definizioni alternative ed indie, ma considerate tutto ciò una parodia delle “effimere” definizioni che si attribuiscono ai generi musicali. Puoi avvicinarti o prendere spunti da un genere o uno stile, ma la musica originale che viene creata è a prescindere sempre unica e non etichettabile.
Cosa ne pensate del genere indie portato in Italia? Sinora sembra che a livello mainstream faccia difficoltà ad affermarsi…
Forse non riesce ad emergere per la difficoltà nel coniugare certe metriche sonore con la nostra lingua, questo è un problema col quale ci scontriamo anche noi. In generale, pensiamo comunque che, quando i mass media si approcciano ai fruitori in maniera errata, un fenomeno possa anche divenire effetto boomerang. Infatti, adesso l’indie è elemento ironico sia sul Web che da parte di bands (vedi “Lo stato sociale”, “Savastano”, ecc…), che ne scimmiottano i contenuti. In finale, c’è una contrapposizione più seria e forse più estrema: “indie” starebbe per indipendente ma, nel momento attuale, in cui le autoproduzioni sono aumentate notevolmente, il termine “indipendente”, invece che elevarsi ad alto fattore, sembra obsoleto e piuttosto conformista. Probabilmente, la connessione indie-mainstream non è mai iniziata oppure ha totalmente fallito.
Veniamo al vostro disco “Trenches”: “Trincee…la mente dell’uomo è in trincea, o le trincee sono nelle nostre menti?”. Dite la verità: Marzullo è il vostro ghostwriter? Aiutateci a capire il concept dell’album e com’è nato questo progetto discografico.
Senza di noi, le domande di Marzullo non sarebbero esistite… a parte gli scherzi, noi – a dire il vero –speravamo che ci aiutaste voi ad attribuire un significato alla frase, ma visto che non collaborate (ride), il concetto che volevamo esprimere è quello di barriere: dentro e fuori ognuno di noi. Le barriere, poi, diventano divisioni, pregiudizi che ci allontanano da noi stessi e dagli altri.
Definite il vostro disco “Un libro pieno di ricordi e avventure”: ci raccontate un episodio significativo alla base di un brano?
Mentre in alcuni brani come “Living on Saturday”, “Something in my days” o “Mistery town” c’è alla base un vissuto personale più attinente alla sfera sentimentale, in altri ricorrono immagini o emozioni di varia derivazione, che poi sono stati cucite insieme: è assolutamente interscambiabile la nostra idea di attribuire chi scrive le parole di una strofa e chi del ritornello. Ci teniamo a ricordare “Daydream”, scritta originariamente in Italiano da Daniela Pagani, poetessa e prima cantante fiorentina a partecipare allo “Zecchino d’oro” nel 1970, scomparsa prematuramente nel 1987.
Partecipereste mai ad un talent?
Non avendo talent, è inutile andarci (ride). Ma, anche se fossimo il secondo “Il Volo”, ad un talent il volo non lo spiccheremmo mai. Riteniamo i talent manifestazioni dove la musica passa comunque in secondo piano rispetto al lato più mediatico del fenomeno.
Quant’è difficile oggi trasmettere le proprie idee attraverso la musica?
Difficile dirlo: noi sentiamo di averle espresse, ma è anche vero che non essendo professionisti non abbiamo mai subito pressioni di mercato o di tendenze del momento. Facciamo quello che sappiamo fare e che ci piace. Il problema è, casomai, inverso: quanto è difficile far ascoltare e far recepire pe proprie idee oggi…
Siae o soundreef?
Sinceramente, non abbiamo capito molto di nessuna delle due. In ogni caso, Soundreef.
Sembrate tenere molto alle vostre sonorità: se l’etichetta vi proponesse di cambiare genere per accattivare più pubblico, quanto e in che modo sareste disposti a cedere?
Credo che questo gruppo di persone possa produrre queste sonorità, noi suoniamo ad istinto e non abbiamo contratti. Potranno esserci delle evoluzioni e dei cambiamenti, ma certamente gestiti ad un tavolino dove saremo seduti anche noi.
In voi c’è una forte componente sociale: Il nome della band è stato ispirato dalla storia di Ernst Lossa, bambino jenisch ucciso nel 1944 dai nazisti nell’ambito del loro programma di sterminio degli individui non autosufficienti, narrata fra gli altri da Marco Paolini nel suo spettacolo “Ausmerzen”. Quanto crediate che la musica possa aiutare ad abbattere i pregiudizi sulla diversità?
La musica è il miglior livellatore che esista, in un brano non ci si accorge della diversa età, razza, cultura o ceto sociale degli esecutori. Inoltre, la musica è un universo di attitudini comuni perché ci si ispira e si comunicano suggestioni a vicenda, cosa che, ad esempio, neppure in un potentissimo aggregante come lo sport può accadere completamente. Quanto poi riesca ad eliminare preconcetti che non dovrebbero più esistere, chi può dirlo se non la storia…
Cosa vorreste ancora raccontare come artisti?
“Cappuccetto Rosso” e “Biancaneve e i sette nani”, con un finale tutto diverso e senza pubblicità (ride). Seriamente parlando, la musica è una Via Lattea per chi la fa e per chi la ascolta, quindi vorremmo scoprire ancora nuove costellazioni di noi stessi per mostrarle agli altri. La ricerca non deve finire mai.
Parlateci del vostro futuro: qualche anticipazione sui vostri progetti (date, curiosità).
Per quanto riguarda Firenze, i prossimi impegni live ci vedranno alla Cdp di Settignano ed al circolo “Il progresso”. In cantiere abbiamo una diretta radio presso Legnano (MI), con un concerto in zona, inoltre stiamo ultimando la produzione del nostro primo video. Il vero obbiettivo principale, però, è ringraziarvi per la vostra attenzione nei nostri confronti.
Articolo di Andrea Desideri