Lottare contro la discriminazione si può, basta utilizzare le parole giuste o, meglio, le parole di chi sa cosa vuol dire essere racchiusi nel concetto di diversità. Questo si traduce inevitabilmente nel raccontare quegli aspetti sociali che, in un modo o nell’altro, delimitano alcuni soggetti della società, emarginandoli – alle volte a propri – senza ascoltare le loro vicende ed i loro percorsi di cambiamento. Per fortuna, esistono progetti che seguono queste storie, danno loro voce attraverso il (potente) mezzo della musica, grazie alla quale è possibile esprimere desideri e speranze, quanto nel profondo è presente in ognuno di noi. Lo sa bene l’Associazione Il Razzismo è una brutta storia che, dopo Potere alle Parole e Secondo Round, ha permesso la creazione di Parole oltre i muri, il terzo album del progetto Potere alle parole Lab. L’opera è composta da ben nove tracce realizzate e prodotte da alcuni detenuti della casa Circondariale di Monza, seguiti passo dopo passo – anche per questa edizione – dal rapper Mirko Filice, in arte Kiave, il cui apporto è stato fondamentale nella diffusione della cultura hip hop, vero e proprio luogo di comunicazione ed espansione della parola.
Quali storie sono racchiuse nelle tracce di Parole oltre i muri?
“Sono le storie di ognuno di loro, storie colme di voglia di cambiare, di desiderio di rivalsa, di speranza e redenzione. Quest’anno ho avuto molti ragazzi che hanno partecipato, e in cinque sono riusciti ad essere presenti nelle registrazioni. Potrei raccontare le loro storie, ma sono sicuro che i loro pezzi parlino molto meglio di una descrizione fatta da me. Sono stati bravi, e sono riusciti a centrare il punto, cioè riuscire a far volare le loro parole oltre le mura della casa circondariale”.
Com’è nata l’opportunità di far parte del progetto e come hai vissuto questa esperienza?
“È nata grazie alla collaborazione con l’Associazione Il Razzismo è una brutta storia, strettasi con la nascita del progetto Potere alle parole che cerca di sensibilizzare le persone alla lotta contro le discriminazioni tramite l’ausilio del musica Rap e della cultura Hip Hop in generale. Ormai l’esperienza è abbastanza avviata, essendo alla terza edizione – quindi per il terzo anno consecutivo -, ma per me è sempre fonte di arricchimento culturale ed artistico, ma sopratutto umano, dato che imparo sempre qualcosa sia dalla situazione che dai ragazzi detenuti”.
Quando hai scelto di far parte di questa realtà, quali obiettivi ti sei prefissato?
“Il mio obiettivo è quello di portare la cultura che amo, cioè l’Hip Hop, all’interno di posti dove può attecchire e può fornire i mezzi per permettere alla gente di esprimersi. Spesso abbiamo una visione distorta di questa cultura, e spesso molti artisti che vediamo in TV si dimenticano da dove tutto ciò è partito, cioè dalle strade, da un foglio, una penna, delle righe e un beat, e una storia da raccontare: tutto molto semplice. Ci siamo ubriacati di passaggi radio, autografi, comparsate e giurie in sul piccolo schermo, visualizzazioni e ‘vippismo’ spicciolo. Per me invece questa roba ‘nasce e muore per le strade’, quindi non c’è luogo più adatto di un carcere per creare l’habitat naturale che questa cultura richiede”.
A tuo avviso, quant’è importante trasmettere la cultura dell’hip hop e della parola in questi contesti?
“Mi sa che ho già risposto nella domanda di prima [sorride]. Evito di essere ridondante, ma ti dico che per me è importantissimo, al momento ai vertici delle mie priorità”.
Musica e sociale: lo consideri un binomio inscindibile?
“Per come vivo io l’arte e per quanto la musica ha fatto per me nella vita, si, assolutamente si”.
Da un tuo post di Facebook, ho letto una critica forte a chi preferisce star dietro un computer a commentare i fatti del giorno invece di partecipare, nella vita reale, ad eventi dove si promuovono album come Parole oltre i muri. Secondo te, si tratta di un problema culturale?
“Si, culturale e, secondo me, legato alla poca importanza che la nostra società dà alla cultura del nostro paese. Ormai in molti considerano la conoscenza e l’interesse artistico/culturale come qualcosa di noioso, sbagliando, e non di poco. Sono convinto che l’unica rivoluzione possibile sia quella culturale al giorno d’oggi, e mi deprimo quando vedo tanta gente che è convinta di cambiare le cose lamentandosi su Facebook. Se davvero non ti sta bene quello che ti circonda, lotta per cambiarlo, ma non con un post del ca… su un social network che si basa sui finti feedback di finti utenti, ma cambiando innanzitutto te stesso, e poi cercando di fare qualcosa per l’ambiente che ti circonda. Questa è la mia opinione, sicuramente molto personale, ma io ci credo, e la attuo ogni giorno in ogni singolo gesto”.
Come possiamo restare aggiornati su tutto ciò che riguarda Parole oltre i muri?
“Tramite il sito di Il Razzismo è brutta storia o tramite la mia pagina Facebook. Io cerco di usare i social nel modo giusto, senza essere troppo invadente e senza rischiare di diventare un fashion blogger. Sono un Rapper, quindi vi comunico li ciò che, se vi va, dovreste sapere sul mio percorso”.
Insieme al disco, l’Associazione ha lanciato Il Razzismo è una brutta storia #Registriamone1Altra, un crowdfunding online che ha l’obiettivo di raccogliere fondi per la creazione di una sala di registrazione all’interno del carcere di Monza.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante