Il corpo è uno dei canoni ideali utilizzati per rappresentare l’immaginario collettivo di una società, al fine di sottolinearne i tratti estetici e culturali. I membri di una comunità si riconoscono attorno quegli elementi definiti comuni, escludendo però a priori altri tipi di aspetti. Nonostante ciò, nell’attuale fase storica qualcosa sta cambiando. Assistiamo all’irrompere di figure nuove e mai considerate prima: ad esempio, ci sono le curvy, modelle prorompenti che sono a proprio agio con il loro corpo più abbondante rispetto alla taglia media modaiola.
Molto spesso, Internet diventa luogo di emersione di immagini e canoni estetici sempre vari, ampliando gli orizzonti dell’universo della moda e dell’arte, grazie anche a punti di vista in grado di rientrare in un dato ed ideale globo artistico. Basti pensare ad Instagram, il social network delle foto, vero luogo di espressione dell’aspetto. Da qualche giorno, tra i vari shot, è partito l’hashtag #RunwayForAll, un’iniziativa creata da Mama Cax (blogger di New York che all’età di 18 anni perse una gamba) con l’intento di diffondere un messaggio di inclusione sociale all’interno dei confini della moda. “Questo progetto è rivolto a qualsiasi adolescente che deve sentirsi rappresentato quando apre una rivista o guarda una sfilata” ha dichiarato. Un frase che ha raccolto diversi consensi, come quelli della modella over-size Jilian Mercado e del modello albino Shaun Ross.
Non si tratta del primo caso in cui un personaggio eleva la propria condizione a portavoce del binomio moda-disabilità. Qualche anno fa emerse la storia di Winnie Harlow – all’anagrafe Chantelle Brown-Young -, modella di quasi 22 anni (li compierà il 27 luglio) affetta da vitiligine, una malattia che le ha donato un corpo macchiato da chiazze bianche. Dopo aver partecipato al reality America’s Next Top Model (arrivando sesta su 14 partecipanti), è diventata la rappresentazione di un modo di pensare alla moda e alla concezione di sé: “La mia pelle non è mai stata un disturbo. Mi sono sempre accettata per quella che sono. […] Nessuno è perfetto, impeccabile, privo di difetti. Direi a tutti di essere sinceramente felici per quello che sono e con quello che è stato loro donato. Siamo tutti unici e speciali a modo nostro e questo in sé per sé è favoloso”. Dunque la disabilità e la diversità diventano icone e prototipi da non emarginare.
Come ci insegna la popstar e modella lettone Viktoria Modesta – anche lei senza un arto inferiore -, nel video di Prototype, bisogna dimenticare ciò che sappiamo sulla disabilità, che può celarsi nell’estensione bionica di una gamba o, più semplicemente, nella diversità del proprio corpo, il quale diventa improvvisamente un modello di cultura condivisa. In questi casi, è la moda stessa a criticare i propri dictat, e quelli dei mass media. Si arriva alla promozione di una coscienza sociale determinante, presentando la disabilità in una sua idealizzazione nell’immaginario collettivo.
Il sociologo statunitense Howard Saul Becker ha definito “mondi dell’arte” tutti gli spazi costituiti da regole promulgate da convenzioni artistiche, estetiche e culturali dei propri giorni, che al contempo riconoscono le idee anticonvezionali. Le tre donne sopracitate sottolineano l’esigenza di rompere questi schemi, dove l’immagine dell’uomo scultoreo e della donna longilinea ricalcano gli stereotipi della bellezza e del divino amore. L’obiettivo è rappresentarsi e far rappresentare la persona in un nuovo corpo, idealizzato in un canone mai creato prima, accettare ed attribuire un senso semantico e semiotico a quel tratto diverso, accentuando questa componente verso una decisa inclusione sociale.
Articolo di Angelo Andrea Vegliante