Erano in 10mila, ieri, i belgi che hanno manifestato a Buxelles “Contro l’odio, la paura, l’Isis e qualsiasi forma di terrorismo” e per commemorare le trentadue vittime degli attacchi terroristici del 22 marzo 2016 all’aeroporto e alla metro della città. La manifestazione era stata convocata la prima volta per lo scorso 27 marzo, ma era stata poi vietata per ragioni di sicurezza. Nonostante sia passato un mese dalla strage voluta dall’Isis, infatti, la città è ancora scossa e la sensazione di insicurezza è palpabile. Ma lo è anche la voglia di andare avanti, non arrendersi e non cedere al terrore, nonostante si viva in un punto geografico “caldo”.
Ma al di là dei clamori e delle grandi manifestazioni, come si vive a Bruxelles? Come si è vissuti fino a poco fa e com’è cambiata la quotidianità in questa città? Ce lo racconta M.C., quarantenne romano, che sedici anni fa lasciò l’Italia per studiare e poi per lavorare. Da dieci è funzionario della Commissione Europea e Bruxelles la conosce bene, per questo vogliamo farci raccontare la città che vive e apprezza da anni: “Bruxelles è una città relativamente facile da vivere – racconta M.C. -, che offre molto da un punto di vista della vita culturale e che vive dell’energia che i suoi tanti ristoranti e caffè infondono alle strade. Una città non bella nel senso classico, ma che conquista con la sua semplicità e per la qualità della vita. Una città normalmente sicura e piena di vita”.
La sicurezza cui accenni è progressivamente scemata, fino a giungere allo stato d’emergenza di questi giorni. Come cambia la quotidianità in una città “sotto attacco”?
“Già dopo gli attentati del novembre scorso a Parigi la tranquillità era in parte venuta meno, anche perché emerse chiaramente che dal Belgio erano arrivate persone coinvolte e armi usate negli attentati. La reazione era però stata di integrare queste preoccupazioni nella vita quotidiana tentando di mutare il meno possibile la routine. Adesso è più difficile fare finta di niente e normali abitudini quali prendere la metropolitana o andare al mercato rionale, più semplicemente recarsi in posti affollati, creano ansia. Per quanto ci si ripeta che pochi violenti non debbano influenzare la nostra vita, è inevitabile che, almeno nel breve periodo, le abitudini siano in parte alterate. Personalmente la reazione istintiva, direi quasi irrazionale, è quella di limitare l’uso dei trasporti pubblici e camminare il più possibile, cosa che peraltro mi piace fare. Ma più che nella pratica, l’effetto degli attentati si riflette nell’ansia latente che accompagna l’andare al cinema, entrare in un locale, o nell’osservare chi entra o esce dal locale stesso. La perdita di tranquillità è la conseguenza più immediata e, se vogliamo, peggiore di questa situazione. D’altronde il vedere le strade piene di soldati armati o il sentire un sottofondo quasi continuo di sirene non aiuta. Nel lungo periodo, però, una volta scemati il clamore e l’emozione causati da questi eventi, credo e spero che l’ansia venga meno e si ritorni quasi in automatico alle abitudini di sempre”.
Tra le vittime dell’attentato alla metropolitana c’è Patricia Rizzo, di origine italiana, che lavorava presso un’ufficio distaccato della Commissione Europea. Una collega, insomma. Come è stata appresa questa notizia? Ha influenzato in qualche modo il vostro lavoro?
“Non conoscevo personalmente Patricia, ma siamo stati tutti toccati, direttamente o indirettamente, dagli eventi. Persone attorno a noi sono rimaste coinvolte dagli attentati. Essendo accaduto di prima mattina, molti di noi erano appena arrivati o stavano arrivando in ufficio. Una sensazione di insicurezza si è inevitabilmente diffusa tra i funzionari e più in generale tra la popolazione. La vita di tutti i giorni è influenzata dalla quantità di soldati in giro, la metro chiude alle 7:00 di sera, i controlli alle entrate degli edifici istituzionali sono più serrati”.
Credi che il terrorismo potrà essere in qualche modo gestito e magari sconfitto? Oppure diventerà un aspetto della vita col quale dovremo semplicemente imparare a convivere?
“Non saprei. Nel breve e, temo, nel medio periodo è probabilmente destinato ad essere un fattore col quale dover convivere. Nel lungo periodo, il terrorismo solleva interrogativi e sfide legati sia alle politiche d’integrazione che alla capacità di coordinare le azioni di intelligence e polizia tra i vari paesi europei. Dalle risposte che sapremo fornire a queste sfide dipenderà la nostra capacità collettiva di gestire questa nuova realtà”.
Articolo di Manuel Tartaglia