Una vocale può cambiare l’intero contesto linguistico e sociale, stranezze e peculiarità dell’Italiano che influenzano la nostra quotidianità in maniera naturale. Ad esempio, ultimamente, la parola stadio concilia con lo studio ed è perciò entrata nell’agenda giornaliera di notizie. Allo stadio ci si va la domenica, per seguire la squadra del cuore, lo studio occupa i giorni restanti della settimana. Nella Capitale, da qualche mese, studio e stadio fanno coppia fissa nei notiziari e sui giornali. L’eventuale nuovo impianto della Roma è oggetto di studio da parte del Comune di Roma. Il sindaco, Virginia Raggi, attualmente sembra essere intenzionata a far partire il progetto edilizio che dovrebbe prendere corpo nella zona Tor di Valle: “Lo stadio lo facciamo, secondo le regole, però”. Quello che ha fatto storcere il naso alla giunta capitolina è un insieme di aspetti che vanno dal rischio idrogeologico alla situazione delle periferie, passando per l’eterna diatriba tra pubblico e privato – su chi dovrebbe occuparsi (eventualmente) dei lavori–, fino ai possibili pericoli per la trasformazione urbana. Varie perplessità che la cittadinanza e l’opinione pubblica, in parte, hanno provato a sbrogliare. Ci si è messo di mezzo persino il club giallorosso, tra campagne social e strategie di comunicazione: è, infatti, partito l’hashtag – diventato subito virale – “famo ‘sto stadio”.
Quindi, una questione legata ad una società sportiva diviene argomento da bar ma anche da propaganda elettorale. Molti sono gli esponenti politici (di altri partiti ed altre città) che hanno voluto dire la loro sul tema, come il senatore Antonio Razzi: “Lo stadio della Roma? Se non lo vogliono nella Capitale, lo facciamo in Abruzzo tra Chieti e Pescara”. Insomma, tra il serio e il faceto, lo stadio (un altro) a Roma è diventato interesse nazionale. Allora c’è chi azzarda che, nel Paese, ci sarebbero altre priorità. Effettivamente, c’è sempre qualcos’altro da fare, come direbbe Giorgia. Quindi, proviamo a restare sul concreto allontanandoci dall’astratto. Affrontiamo il presente, non il futuro. Gli stadi italiani – quelli già esistenti – sono accessibili a persone con disabilità? La risposta dovrebbe essere affermativa, invece il risultato è ben diverso. Ad esempio, allo stadio di San Siro la visibilità del campo da gioco – dal posto riservato alle persone con disabilità – è scarsa. E non c’entra la nebbia milanese. Si vede poco e male, inoltre i posti a disposizione per le persone con disabilità sono insufficienti, nella maggior parte dei casi, volendo assistere ad una partita, si deve fare una selezione di tifosi autorizzati – neanche fossimo ad un provino per un talent – poiché non tutte le richieste vengono accettate e soddisfatte. Le criticità non sono soltanto al nord, anzi. Spostandoci in Campania, precisamente a Napoli, si arriva al San Paolo che quest’anno è “vestito a festa” in occasione della Champion’s League. La squadra di Sarri, infatti, disputa le partite per aggiudicarsi la coppa dalle grandi orecchie e salire (se possibile) sul tetto d’Europa. Per salire in alto, però, si devono superare molti ostacoli; gli stessi che incontrano le persone con disabilità alla ricerca di un posto decente.
Oltretutto, queste sono mancanze di vecchia data. Infatti, l’inaccessibilità negli impianti italiani è una piaga che deriva da “Italia ‘90” – Mondiale giocato più di vent’anni fa ormai, che però ancora alimenta il malaffare e la corruzione nell’edilizia. Furono edificate vere e proprie “cattedrali nel deserto” – così sono stati ribattezzati gli stadi di casa nostra – data la mancanza di collegamenti urbanistici e i continui problemi di ordine pubblico. L’inadeguatezza prosegue sino al momento in cui ci si mette seduti, perché, malgrado i pochi miracolati che vediamo alzarsi improvvisamente dalle loro carrozzine, le persone con disabilità che non riescono a seguire una partita per inadempienze strutturali sono ancora tante. L’Olimpico di Roma, dove attualmente giocano entrambe le squadre della Capitale, ha un congruo numero di posti accessibili alle persone con disabilità. Anche perché, intelligentemente, la tribuna Tevere è dotata di uno spazio molto largo – quasi un intero settore – sprovvisto di seggiolini. L’ideale per permettere l’ingresso di carrozzine elettriche e non, gli accompagnatori dei tifosi con disabilità possono sedersi su poltroncine pieghevoli che stazionano sul fondo. L’impianto romano, pur non presentando particolari problemi di posti a sedere e relativa visuale, ha numerose pecche dal punto di vista sanitario: i bagni accessibili lo sono esclusivamente sulla carta e non nei fatti. Poche maniglie, disposte anche male, che non permettono a chi ha una disabilità di essere autonomo nell’espletare i propri bisogni.
Poi, ci sarebbe l’aspetto – non meno importante – relativo alle tribune stampa. Se un giornalista con disabilità volesse seguire la partita, essendo accreditato, avrebbe difficoltà a farlo. L’area press è dotata di montascale che, se non è rotto, conduce la persona in prossimità dei posti a sedere che, però, sono sedie normali. Non contemplano un’eventuale carrozzina. Va precisato che, in tal caso, la cortesia degli steward è fondamentale: sono loro che, con i dovuti modi, provvedono ad aiutare ogni persona nel trasferimento dalla carrozzina alla sedia. Tuttavia, nel 2017, non si può sperare ancora nel buon senso delle persone. Dovrebbero esserci gli strumenti adeguati. Se l’Olimpico è messo “meglio”, volendo essere generosi, il quaranta per cento degli stadi italiani è fatiscente. Tant’è che il Sant’Elia a Cagliari e il Marassi a Genova sono costantemente sotto osservazione, con scarsi risultati. Insufficienza anche per l’Artemio Franchi di Firenze e il San Nicola di Bari, ma la lista si allunga anno dopo anno. Di volta in volta, i buoni propositi aumentano ma i problemi ristagnano. Gli stadi possono anche essere bellissimi ma devono soprattutto essere accessibili e le scelte che alcuni club dichiarano di voler fare non sembrano in grado di favorire questa accessibilità, anzi. L’impianto nuovo va pensato in rapporto alla mobilità, altrimenti si rischia di costruire nuove cattedrali destinate a produrre fenomeni di allontanamento. “Famo ‘sto stadio”, ma per tutti. Senza trascurare nessuno. E, subito dopo, “ri-famo” le strutture obsolete.
Articolo di Andrea Desideri